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La Polizza ai Raggi X: Invalidità Permanente da Malattia, protezione o fuffa?

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copertina: La polizza ai Raggi X: Invalidità Permanente da Malattia, protezione o fuffa?

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Invalidità Permanente da Malattia: quando la polizza diventa un vero stress test per il sistema assicurativo

Il rischio che fa paura alle compagnie

C’è una polizza di cui, per anni, si è preferito non parlare troppo. Una copertura che, nei corridoi delle compagnie, è sempre stata accolta con un certo imbarazzo misto a timore. L’Invalidità Permanente da Malattia è da sempre considerata un rischio scomodo. Perché mette insieme due parole che, nel mondo assicurativo, fanno tremare i polsi: frequenza e gravità.

Un rischio che si presenta spesso. E quando lo fa, fa male. Davvero.

Colpisce il cuore della vita delle persone: la capacità di lavorare, di sostenere la propria famiglia, di mantenere una dignità quotidiana. E lo fa in modo subdolo, senza clamore, ma con conseguenze enormi.

Proprio per questo, il sistema assicurativo ha sempre cercato di tenere l’IPM un po’ in disparte. Lo si nota dai limiti assuntivi spesso ridicoli. Dalle provvigioni più basse rispetto ad altre polizze. Dalla difficoltà di trovare prodotti completi, duraturi, chiari.

La verità è che questa polizza è un problema per le compagnie, non per i clienti. E ciò dovrebbe farci riflettere.

L’invalidità permanente da malattia è molto più frequente di quella da infortunio, eppure viene trattata come se fosse un’aggiunta, un extra.. L’associazione di questi due dati – alta frequenza e alta gravità – impone invece una riflessione profonda: siamo davanti a uno dei rischi più rilevanti dell’intera mappa personale del rischio.

La mappa dei rischi e il ruolo dell’IPM

E qui entra in gioco proprio il concetto di mappa dei rischi, che ogni consulente dovrebbe avere ben chiaro. I grandi rischi da presidiare sono almeno cinque: le responsabilità (illimitate), il capitale umano, la perdita dei beni, la perdita del risparmio e la successione. In questa scala, le responsabilità stanno sempre al primo posto. Ma subito dopo, soprattutto per chiunque viva del proprio lavoro, c’è il capitale umano.

E cos’è la perdita del capitale umano se non l’essenza stessa di una polizza IPM?

Quando proteggi un cliente da questo rischio, non stai solo vendendo una copertura. Stai difendendo la sua capacità di costruire il futuro.

Il problema è che troppo spesso questa protezione viene costruita su fondamenta fragili. Perché la polizza IPM, in Italia, è iscritta al ramo danni, e questo comporta una conseguenza gravissima: la compagnia può disdirla quando vuole. Nessun rinnovo garantito. Nessuna continuità certa. Il rischio che tu stai cercando di coprire potrebbe restare scoperto nel momento peggiore

Il problema della buona fede e della discontinuità contrattuale

In più, c’è una questione ancora più sottile e delicata: quella della buona fede. Il Codice Civile non lascia spazio a dubbi: l’articolo 1337 impone buona fede nella fase precontrattuale, l’art. 1366 nell’interpretazione del contratto e l’art. 1375 nell’esecuzione. Eppure, troppo spesso assistiamo a comportamenti che sembrano andare nella direzione opposta: richieste inutili di documenti, dilazioni nei tempi, cavilli messi lì non per chiarire, ma per confondere.

Ma il punto più critico arriva quando ci si illude di valutare una polizza guardando una clausola alla volta. “Questa è buona. Questa no”. Non funziona così. Una polizza si legge tutta insieme. Una clausola non ha senso da sola. Bisogna leggerle una di seguito all’altra, unire i puntini come nei giochi enigmistici, e solo allora appare il disegno. Ed è in quel disegno che si scopre la vera volontà delle parti, come direbbe un giudice. Ma si scopre anche qualcosa di più inquietante: una tendenza, a volte, a trasformare quella che dovrebbe essere una reale protezione in qualcosa di molto meno significativo. In alcuni casi, persino inutile.

E quando unisci quei puntini, quello che emerge genera un senso di disagio autentico. Perché capisci che alcune polizze sono costruite in modo da alzare barriere, non da aprire porte. Che dietro la promessa di tutela si nasconde una macchina progettata per rendere l’esecuzione del contratto il più difficile possibile.

Non vogliamo dire che sia tutto voluto. Ma di certo i dubbi sorgono. E quei dubbi, se non vengono affrontati, gettano una cattiva luce su tutta la categoria. Soprattutto su chi lavora ogni giorno con etica, responsabilità e consapevolezza.

Ed è proprio da qui che deve partire ogni riflessione seria sull’Invalidità Permanente da Malattia.

Confronto tra condizioni: un mercato disomogeneo e opaco

Quando si prova a mettere a confronto le condizioni offerte dalle diverse compagnie per le polizze IPM, la sensazione è di trovarsi in un mercato senza regole comuni. O, peggio, in una gara a chi riesce a mascherare meglio i propri limiti.

Franchigie diverse, soglie di attivazione variabili, esclusioni che cambiano da contratto a contratto, definizioni di invalidità a volte persino contrastanti. Ci sono prodotti che coprono invalidità dal 25%, altri che partono dal 66%. Alcuni prevedono carenze lunghissime per le patologie più gravi. Alcuni offrono validità temporale solo durante la vigenza contrattuale, altri riconoscono estensione fino a 12 mesi post-scadenza. E ogni compagnia, ovviamente, rivendica la bontà della propria formula.

La realtà è che questa varietà disorienta. Non solo il cliente finale, ma anche molti intermediari, costretti a districarsi tra decine di documenti, definizioni e condizioni particolari. E in assenza di una standardizzazione chiara, a dominare è la confusione. Una confusione che gioca a favore di chi vuol vendere, non di chi vuol proteggere.

Il confronto, insomma, non serve solo per scegliere la polizza migliore. Serve per comprendere quanta strada ci sia ancora da fare per garantire una tutela vera, concreta, stabile contro uno dei rischi più devastanti della vita di una persona.

Ed è proprio da questo confronto che deve partire la sfida culturale più urgente: quella che ci spinge a pretendere più trasparenza, più coerenza, più etica nel costruire le coperture del futuro.

Una responsabilità condivisa, una sfida aperta

Al centro di tutto, oggi più che mai, deve esserci la sostenibilità del sistema per tutte le parti. Questo è il cuore del principio mutualistico su cui si fonda l’assicurazione. Un equilibrio delicato tra chi offre la copertura e chi la riceve. Ma per difendere questo equilibrio, serve un salto culturale.

Serve dipingere bene il rischio, in modo trasparente, serio, coerente. Perché solo così una compagnia può accettarlo in modo consapevole e duraturo. E solo così un cliente può affidarsi alla polizza con fiducia reale.

Noi, che lavoriamo sul campo, abbiamo una responsabilità enorme. Siamo il pilastro della protezione, e in un paese cronicamente sottoassicurato come l’Italia, siamo anche l’unico canale attraverso cui può passare un cambiamento vero.

Ma questo cambiamento passa da una scelta netta: invece di continuare a ignorare le distorsioni, denunciarle. Ed è proprio questo lo spirito con cui nasce La Polizza ai Raggi X: non per demolire, ma per illuminare. Non per creare sfiducia, ma per creare consapevolezza.

Perché, ed è bene ricordarlo, l’IDD chiede agli intermediari di segnalare quando un prodotto non è più adeguato. Non è solo un’opzione etica. È un dovere.

Quindi oggi abbiamo due strade davanti: fare finta di nulla, continuare a proporre prodotti inadeguati per quieto vivere. Oppure fermarci, prendere posizione, alzare la voce quando una polizza non rispetta le promesse.

Quando parliamo di etica e di professionalità, questa è l’occasione per dimostrare che non sono solo parole.

E forse, finalmente, l’opportunità di fare qualcosa di concreto, per i clienti e per la categoria intera.

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