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Nuovo obbligo per gli imprenditori: tutto quello che dovresti sapere prima di stipulare una polizza Cat Nat
L’obbligo Cat Nat è solo l’inizio
Negli ultimi mesi, con l’introduzione dell’obbligo assicurativo per le imprese contro i rischi catastrofali, ho sentito crescere la confusione nel nostro settore.
C’è chi corre a stipulare polizze per “mettere a posto i clienti”, chi si affida alle soluzioni della compagnia, e chi – peggio ancora – considera la questione chiusa solo perché la norma prevede una copertura.
Ma facciamoci una domanda: è sufficiente avere una polizza per essere davvero protetti?
La risposta è no. E non lo dico per fare allarmismo. Lo dico perché ogni giorno, leggendo contratti e parlando con colleghi, vedo quante polizze danni ai beni vengono vendute senza una reale valutazione del rischio, senza una stima preventiva, senza nemmeno una domanda sull’effettiva sostenibilità dell’impresa in caso di evento.
Ed è così che, pur con la “polizza in regola”, un imprenditore può trovarsi con un’attività paralizzata e nessun risarcimento sufficiente per ripartire.
Una polizza firmata non è sinonimo di protezione
Ti faccio un esempio che potremmo incontrare tutti i giorni.
Un imprenditore, magari nel settore alimentare o manifatturiero, sottoscrive una polizza Cat Nat convinto di essere “a posto” con quanto richiesto dalla normativa.
Poi ci si siede insieme per analizzarla e salta fuori che il valore assicurato dell’immobile è fermo a dati di diversi anni fa, la franchigia è fissata a X euro (senza alcuna reale analisi della sua sostenibilità economica) e la copertura per interruzione d’esercizio… semplicemente non c’è.
Alla classica domanda “Perché avete impostato così la polizza?” la risposta suona familiare:
“È il minimo per essere in regola, ce l’ha proposta direttamente l’agente.”
Ecco il rischio: confondere essere in regola con essere realmente protetti.
E questo è il punto. L’obbligo sta generando una marea di polizze standard, firmate in fretta, ma incapaci di proteggere davvero. Stiamo illudendo le imprese di essere coperte, quando in realtà sono più esposte di prima.
I punti critici da non sottovalutare
Ci sono aspetti tecnici che non possiamo permetterci di trascurare.
La stima preventiva è il primo. Se il valore dichiarato è sottostimato, la compagnia può applicare la regola proporzionale, pagando solo una parte del danno. E parliamo di migliaia, se non milioni di euro.
Poi c’è il tema delle merci e magazzino. In molte imprese questi valori oscillano di mese in mese. Se la polizza è in forma fissa e non prevede una parte flottante, si rischia di lasciare scoperti interi carichi in magazzino proprio nel momento in cui succede il sinistro.
E ancora la franchigia frontale: spesso viene fissata solo per abbassare il premio, senza alcuna valutazione sulla reale capacità dell’impresa di sostenere quella soglia in caso di evento.
Clausole tecniche che fanno la differenza
Molti intermediari evitano di entrare nei dettagli tecnici per paura di confondere il cliente o per velocizzare il processo.
Ma quei dettagli sono proprio quelli che decidono se una polizza funziona o no.
Ecco tre clausole che mi trovo spesso a correggere:
- Onere della prova: alcune condizioni pongono in capo all’assicurato il compito di dimostrare che l’evento è coperto… con tutta la complessità che ne deriva.
- Indennizzo senza termine: in molti contratti manca una scadenza certa per la liquidazione. Questo può significare dover aspettare mesi (se non anni) per ricevere un risarcimento.
Danni indiretti e interruzione dell’attività: la parte invisibile del rischio
Uno degli aspetti più trascurati è la copertura per l’interruzione dell’attività.
Il danno diretto è solo una parte del problema. Quando un’azienda subisce un’alluvione o un terremoto, il vero impatto è nei giorni (o mesi) di fermo produttivo.
Eppure, moltissime polizze non prevedono alcuna copertura per questa voce, oppure la collegano male al danno Cat Nat. Il risultato? Anche quando l’indennizzo arriva, non basta a coprire la perdita di margine.
Per questo uno dei punti imprescindibili di una consulenza seria, per me, è spiegare all’imprenditore la differenza tra “utile” e “margine di contribuzione”, perché può far davvero la differenza nella percezione del rischio.
Ed è proprio lì che si costruisce il vero valore della nostra assistenza.
Gli errori da evitare come intermediari
Ci sono comportamenti che, purtroppo, vedo ancora troppo spesso tra colleghi:
- Affidarsi alle soluzioni standard della compagnia senza personalizzare
- Concentrarsi solo sul premio per “chiudere la trattativa”
- Trascurare la lettura delle condizioni tecniche
- Evitare di coinvolgere il cliente nella comprensione della polizza
Ma il danno non si limita all’assicurato. Ogni volta che una polizza non funziona, perdiamo credibilità noi. E recuperare fiducia dopo un sinistro mal gestito è molto più difficile che prevenire il problema con una consulenza seria.
Il valore di un approccio strutturato al rischio
Essere davvero utili ai clienti non significa solo conoscere i prodotti, ma saper gestire il rischio con metodo.
Ed è esattamente questo che fa la differenza tra un intermediario “commerciale” e un professionista del rischio.
Se vogliamo aiutare gli imprenditori a proteggere il proprio lavoro, dobbiamo essere in grado di:
- leggere un bilancio,
- stimare il valore corretto dei beni aziendali,
- individuare i punti critici nel ciclo produttivo,
- spiegare in modo semplice le conseguenze di una clausola.
Non basta “conoscere le polizze”: serve un sistema, uno strumento, un metodo.
Se anche tu vuoi imparare a gestire davvero i rischi dei tuoi clienti, ti consiglio di scoprire il Risk Management di Assicuratore Facile.
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Non è un corso qualsiasi, ma uno strumento operativo per chi vuole fare la differenza ogni giorno, anche e soprattutto quando si tratta di rischi complessi come quelli legati alle Cat Nat.
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