In questo articolo:
Consulente o venditore? Attento a non costruire illusioni.
I consulenti non esistono… o meglio, sono pochissimi
Nel nostro settore, l’uso della parola “consulente” ha raggiunto livelli quasi comici. Sembra che basti indossare una giacca, impugnare una penna elegante e sfoggiare un linguaggio pseudo-tecnico per fregiarsi di questo titolo. Ma la realtà è un’altra.
Essere consulenti significa assumersi una responsabilità. Non solo verso il cliente, ma verso se stessi. Vuol dire scegliere consapevolmente di fare le cose in modo diverso. Di non essere più un esecutore di preventivi, ma un architetto della sicurezza delle persone.
E qui arriva la prima grande verità scomoda: l’adeguatezza è un obbligo di legge. Non è un’opinione, non è una buona prassi, non è un di più. È una norma. Un principio che obbliga ogni intermediario a proporre soluzioni coerenti, calibrate, ragionate. Eppure, a quanto pare, sono in pochi a sentirsi veramente in dovere di rispettarlo.
Perché? Perché rispettare l’adeguatezza richiede tempo, richiede attenzione, richiede metodo. E oggi molti sono troppo impegnati a correre dietro a obiettivi imposti dalle grandi compagnie. Quelle stesse compagnie che, nella maggior parte dei casi, hanno a cuore tutto fuorché il destino del cliente finale.
Eppure il cliente finale ha un volto, una storia, una famiglia. E quando qualcosa va storto – perché accade, eccome se accade – chi si prende la colpa? Non la compagnia. Non l’area manager. TU.
Se hai consigliato un prodotto inadatto, se non hai fatto un’analisi approfondita, se hai ignorato segnali, dettagli, bisogni… verrai ricordato TU. Il cliente si rivolgerà a te. Il cliente si sentirà tradito da te. E non importa quante scuse troverai, quanto fossi in buona fede, o quanto poco tempo avevi. Il danno sarà fatto.
Questo è il peso della parola “consulente”. E questo è il motivo per cui oggi i veri consulenti sono pochissimi.
Essere consulente vuol dire sospendere il giudizio, fare silenzio e ascoltare. Vuol dire non avere risposte pronte, ma fare domande migliori. Vuol dire accettare che ogni cliente è un mondo a sé, che ogni storia merita tempo e metodo, che non ci sono scorciatoie.
E allora ti domando: sei ancora sicuro di essere un consulente? O forse sei solo un venditore che si è raccontato una bella storia?
Il mercato ti smaschera: come ti percepisce il cliente?
Hai mai provato a metterti nei panni del cliente?
Perché lui, credimi, lo capisce subito chi ha davanti. In pochi minuti. Sa distinguere chi è lì per vendere da chi è lì per costruire. E quasi sempre si aspetta la prima cosa: uno che deve portare a casa il budget. Uno che ha fretta. Uno che ha un obiettivo da raggiungere, non un cliente da capire.
Il cliente si difende. Ha alzato barriere emotive. Ha sviluppato anticorpi contro la “spiegazione” forzata. Ti guarda, annuisce, ma in realtà sta aspettando il momento in cui lo freghi. È stato bruciato troppe volte.
E la colpa, spesso, non è neanche sua.
Il nostro settore ha seminato per anni diffidenza. Troppe chiacchiere. Troppa pressione. Troppa inconsistenza. E ora ci troviamo davanti un mercato che non si fida più.
Il paradosso? Quando finalmente sei diverso, fai domande nuove, rallenti, il cliente se ne accorge. Ti guarda in modo diverso. Pensa: “Ehi, ma questo non ha fretta. Questo mi sta davvero ascoltando.”
Ed è lì che accade la magia. Quando smetti di essere il trentesimo venditore della settimana e diventi il primo professionista che si è preso il tempo di ascoltarlo.
Non servono superpoteri. Serve empatia, umiltà, e soprattutto un processo.
Senza metodo non c’è valore: perché ti devi aggrappare alla ISO 31000
Arriviamo al cuore della questione: il metodo.
Tutti parlano di ascolto, di centralità del cliente, di soluzioni personalizzate. Ma senza un processo che renda tutto questo concreto, resta solo teoria.
E qui entra in campo la UNI ISO 31000: lo standard internazionale per la gestione del rischio. Uno strumento straordinario, spesso ignorato perché “troppo complesso”, “troppo tecnico”, “non adatto al mio cliente”.
Tutte scuse.
La ISO 31000 ti obbliga a:
- definire il contesto della persona, famiglia o impresa
- analizzare gli obiettivi veri, non quelli dichiarati
- identificare e classificare i rischi
- valutarli secondo impatto e probabilità
- costruire una mappa chiara e visiva
- proporre soluzioni solo DOPO aver fatto tutto questo
- verificare l’adeguatezza nel tempo
È un metodo potente perché ti mette al riparo dagli errori, ti differenzia subito dalla massa e soprattutto restituisce dignità al nostro lavoro.
E sì, funziona anche – e soprattutto – con gli imprenditori. Perché loro sono abituati a parlare per numeri, per strategie, per processi. E se tu arrivi con un approccio amatoriale, ti bruci in due secondi.
Ma se arrivi con un piano, una mappa, una logica, e non con un catalogo… allora ti siedi allo stesso tavolo. Da pari. Da professionista.
E ora che fare?
Allora?
Sei ancora sicuro di essere un consulente?
O sei pronto a diventarlo davvero?
Essere consulente è una scelta di campo. È un atto di responsabilità. È il coraggio di non svendere la fiducia che le persone ripongono in te.
Serve tempo, studio, metodo. Serve la voglia di distinguersi.
Noi abbiamo scelto di farlo con la ISO 31000.
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